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Tuesday, 24th March 2015 

In Africa dal Capo al Cairo con Lidio Cipriani

Lidio Cipriani

Lidio Cipriani nasce a Bagno a Ripoli nel Marzo 1892. Dopo aver prestato servizio militare durante la prima guerra mondiale, tra il 1920 e il 1923 compie i suoi studi universitari, conseguendo una laurea in scienze naturali con una tesi in antropologia, sotto la guida di Aldobrandino Mochi, allora direttore del Museo di Antropologia e Etnologia di Firenze. Dopo studi di perfezionamento a Parigi e a Londra, nel 1926 ottiene la libera docenza in antropologia e diviene Aiuto presso l’Istituto e Museo Nazionale di Antropologia ed

Etnologia di Firenze. Tra marzo e novembre del 1927 si svolge il suo primo viaggio in Sud Africa, all’interno di una spedizione organizzata dal comandante Attilio Gatti di Milano avente come destinazione lo Zululand. Oltre ad un corpus di 2000 fotografie e a numerosi materiali etnografici, campioni geologici e botanici, il Cipriani riportò da quel viaggio i primi modelli facciali in gesso ripresi sul vivente, che costituiranno l’inizio della sua indagine antropometrica e la dimostrazione delle sue già formate teorie razziali.

Dal novembre 1928 al maggio 1930, torna in Africa meridionale e sosta lungamente nell’attuale Zambia, per dedicarsi allo studio delle popolazioni di quella zona e delle rovine della civiltà preistorica di Zimbabwe.

Il terzo viaggio in Africa avviene tra giugno e dicembre del 1930 ed é completamente organizzato dal Cipriani stesso allo scopo di incontrare le popolazioni di Boscimani che tuttora vivono ai margini del deserto del Kalahari e quella dei Pigmei dell’Ituri.

Le impressioni riportate dai tre viaggi compiuti in Africa tra il 1927 e il 1930, furono raccolte nel libro “In Africa dal Capo al Cairo”(1932), un grosso volume di più di 600 pagine denso di considerazioni antropologiche, zoologiche, botaniche e geologiche.

Nel 1932 e nel 1933 é protagonista delle prime due missioni di ricerche scientifiche nel Fezzan in Libia con l’incarico di indagini antropologiche sui Tuareg, i Tebu, i Dauda e lo studio della preistoria sahariana, missioni che ebbero una vasta risonanza nell’ambito dell’esaltazione, da parte del regime, dell’importanza delle colonie e delle loro ricchezze in beni materiali e culturali.

Il primo viaggio antropologico nell’India meridionale risale al settembre 1934, viaggio durante il quale egli immortala, in più di 6000 fotografie, la vita dei Coorg, dei Toda e si spinge fino ai Vedda di Ceylon.

Nel gennaio 1937 fu uno dei membri della prima “Missione della Reale Accademia d’Italia in Africa Orientale Italiana” nella regione del lago Tana e nel dicembre 1938 organizza una seconda missione in Etiopia nel territorio dei Galla e dei Sidama.

E’ a partire dal 1931 che Cipriani comincia a manifestare in articoli e pubblicazioni le sue teorie dichiaratamente razziste: i suoi studi sulla razza ed i numerosi viaggi in Africa lo convinsero dell’opportunità per le nazioni europee di sfruttarne le immense risorse naturali. Così gli scritti dell’antropologo non solo contribuirono a richiamare l’attenzione degli italiani verso le possibilità di sfruttamento economico di quel continente, ma servirono anche ad appoggiare l’azione del regime fascista che proprio in quegli anni si era impegnato nella conquista dell’Etiopia.

Gli anni quaranta vedono il repentino crollo della carriera del Cipriani: nel giugno 1940 viene rimosso dalla carica di direttore del Museo e Istituto di Antropologia di Firenze con l’accusa di aver venduto per proprio conto maschere facciali raccolte durante le missioni sovvenzionate da istituzioni pubbliche.

Dopo aver trascorso tre anni di guerra nell’isola di Creta come Maggiore dell’esercito, nel giugno del 1945 é arrestato e condotto nel carcere di S. Vittore a Milano sotto l’accusa, da lui sempre negata, di essere stato uno dei firmatari del “Manifesto della Razza” e, nonostante il processo si concludesse con un non luogo a procedere, gli anni successivi furono per lui di ritiro e di ritorno all’antico interesse per la vita degli animali.

Fu probabilmente il suo interesse verso le popolazioni pigmee, insieme alla fama internazionale che il Cipriani aveva raggiunto, che spinsero il governo dell’India, nel 1949, a richiedere l’antropologo come consulente all’interno delle spedizioni che stavano organizzando nell’arcipelago delle isole Andamane, missioni che lo tennero occupato a fasi alterne fino al 1954.

Anche in questo caso i rapporti tra il ricercatore e il dipartimento di antropologia dell’Indian Museum di Calcatta furono bruscamente interrotti a causa della “impostazione scientifica dei suoi studi ritenuta fortemente viziata da connotazioni razziste”, come Paolo Chiozzi ci riporta.
Tornato in Italia, Cipriani rimase uno studioso attivissimo fino alle soglie della sua morte, avvenuta nell’ottobre del 1962.
Durante tutte le sue missioni di studio, Cipriani raccolse una quantità eccezionale di documenti fotografici e la sistematicità con cui egli fotografava, é segno dell’influenza su di lui esercitata dalla scuola del Mantegazza.

Il fondo fotografico che ne é risultato é composto da oltre ventottomila negativi, in grandissima parte conservati presso l’Archivio Fotografico Toscano, insieme ai 16 Album fotografici opera dello stesso Cipriani, che selezionò una serie di immagini relative a ciascuna missione di studio.
All’interno degli album, ogni immagine é accompagnata da una didascalia scritta di suo pugno che, talvolta, mira a guidare la lettura delle immagini, rafforzando un intento ideologico già evidente nell’impostazione fotografica in senso stretto.

Talmente tanto é già stato detto sulla figura dell’antropologo Lidio Cipriani che saremmo tentati di tralasciare qualsivoglia considerazione sulla sua carriera e sulle sue dubbie scelte ideologiche, per concentrare lo sguardo unicamente sulla vastissima documentazione fotografica che, dai primi decenni del secolo, é giunta fino a noi. La complessità e molteplicità di posizioni possibili di fronte ad una raccolta tanto vasta di rappresentazioni dell’altro, é confermata e ampliata nel caso specifico del Cipriani, sia per lo scopo, eminentemente scientifico, per il quale le immagini sono state realizzate, sia per il loro inserimento in un periodo storico e ideologico tanto delicato quale é quello dell’era fascista.

Così gli sguardi si incrociano, si moltiplicano e sovrappongono nel riconsiderare le immagini di una vita spesa a contatto con l’alterità. Ci scontriamo, é vero, con l’inquadratura ideologica del fotografo, che piega l’immagine alle finalità delle sue convinzioni, profondamente razziste e legittimate dall’appartenenza alla scuola evoluzionista di Mantegazza e Lombroso, costringendoci a considerare l’immaginario che le sue foto ci veicolano.

Ma la distanza storica ed ideologica che ci separa oggi dall’autore e dal suo mondo culturale, permette al nostro sguardo di indulgere anche sull’aspetto estetico della sua produzione fotografica, aspetto che rivela la profonda passione e intimità dei suoi ritratti. D’altra parte la bellezza delle sue immagini é stata largamente riconosciuta dal vasto utilizzo che ne fu fatto su libri e riviste, scientifiche o divulgative, fino alla fine degli anni sessanta, spesso omettendo l’identità dell’autore.
Nelle foto: Lidio Cipriani alla sua scrivania e il professor Phillip V. Tobias alla mostra delle maschere facciali nel 1970 alla scuola di medicina dell’Università del Witwatersrand.

In Africa from the Cape to Cairo with Lidio Cipriani
by André Martinaglia

In 1927 until 1930 was to see a great research work done by a young Italian scholar, who was the assistant to the famous professor Aldobrandini Mochi, at the “Institute of Anthropology and Ethnology” at the University of Florence, namely Lidio Cipriani. During the course of three long journeys, he and his team of research workers were to cover Central and Southern Africa extensively. Equipped with three moderns vehicles, specially designed to absorb the wild African terrain, Cipriani decided to cover Kwa Zulu Natal Province of South Africa first, making a study of the proud and warrior tribe, namely the Zulus. Here he gathered a very important amount of ethnological information, as well as an interesting collection of tribal masks, which are on display at the Durban Museum, as well at the Institute in Florence. Cipriani was well supported by Count Natale Labia, who secured the maximum cooperation from the South African authorities. Also in attendance was the well known “Great White Hunter’’, of the times, namely commander Attilio Gatti, from Milan, who participated in this venture, and was also charged with looking after the financial side of things. His knowledge of the African jungle in Central Africa, and the African bush, plus the various and many different tribes and their cultures, was to be a great asset to Cipriani during these journeys. Gatti was a well organized person, and up to the 1950’s was organizing hunting expeditions for American and European clients, providing them with all the comforts of home.
The Cipriani expedition was far from a pleasure trip, encountering many difficulties and challenges along the way. Films taken by Gatti were later documented, and subsequently shown after being inserted into news reels, viewed enthusiastically in many different countries thereafter. He also wrote several books, also translated into English by his American wife, like “Hidden Africa”, Hutchinson, London 1933 and “Here is Veld”, in which he writes diffusely about the journeys undertaken by Cipriani (also available in Italian). Gatti was also at the time a press correspondent for various daily newspapers and magazines, like ‘’Il Corriere della Sera’’, and ‘’Le Matin’’, in Paris.
It is also interesting to note that the present king of the Zulu nation, namely Kind Goodwill Zwelethini’s father, was christened with the Christian name of Cyprian (Cyprian Zulu).
Cipriani’s report on the first journey, can be viewed at the Institute entitled ‘Sette mesi d’Africa’’ Bemporad, Florence 1928, as well as ‘’Gli Zulu’’, Bemporad Florence 1929.
In Johannesburg, South Africa, Cipriani met with the well known professor Raymond Dart (1893-1988), who was Australian born, and in South Africa was a paleontologist and anthropologist, who in 1924, discovered the first fossil remains of the Australopithecenes of early hominidis, near a place called Taung in Botswana, known as “Taung Child”. From Dart, Cipriani was able to obtain useful information in regard to his own studies.
The second itinerary, starting in November of 1928, took Cipriani to Mozambique, then a Portuguese Colony, proceeding from there to Zimbabwe, returning thereafter to South Africa. In Pretoria, South Africa he was to join the Italian delegation of professor Stefanini and professor Gortani, who were to participate in the International Geology Congress” of 1929. Professor Michele Gortani of the University of Bologna, describes his experiences in article entitled Ïmpressioni di viaggio nell’Africa Australe,”’ nel Bollettino della Regia Società Geografica Italiana, Roma July 1930, n.7, pages 559-568. Here Gortani debates the duties of the white population of South Africa, towards the Non-White natives of the country, in the task of educating them in the European manner – Only in this way, he was to say, “that maybe the tragic vision of a wise English governor, of balck children, one day ending up playing on the ruins of once proud Union Building of the capital city Pretoria may be averted”. Evidently some of to-day’s malevolent catastrophic-fiction prophecies have a long tradition in the past.
In Johannesburg, Cipriani also took part in the meetings of the “British Association for the Advancement of Science’’. Cipriani had from this second journey, put together an important collection of African native skeletons, as well as taking over 2000 photographs of ethnological interest, which returned with him to Italy, plus a large zoological collection. Reference, is “ In Africa dal Capo al Cairo”, Bemporad Florence, 1933.
The third journey, which began in June 1930, left from Cape town to Namibia. At the town of Barkley West, the Mayor and the town population assisted Cipriani with the excavation of prehistoric remains, which included an important collection of agmidale.
In Namibia, he was to make an important study of the primitive native nomadic hunter people called the Bushmen (San and Khoi tribes) of the Kalahari Desert. Reference to this is noted in Cipriani’s article “’Fra I Boshimani dell’Etoscia e del deserto del Kalahari’’ – in “L’Universo”, a monthly magazine published by the Italian Military Geographical Institute, 1931, n.10, page 551.
From here he traveled to Zimbabwe and Zambia, the Republic of Congo, and finally to the Nile Valley. The journey, a crossing from south to north of the whole African continent, ended in December of the same year.
As a result of his research, Cipriani, despite his young age, received remarkable fame in Italy, becoming a solid authority in his field of anthropology and ethnology.
The last years of his life were spent exploring for the Indian government, the island of the Little Andaman in the Andamane archipelago, revealing its secrets for the first time, in his book, “Tra I selvaggi dell’Andamane arcipelago’’, completed in the last days of his life. He died in Florence in the autumn of 1962, aged 70.
Photos: Lidio Cipriani at his desk and professor Phillip V. Tobias at tha face masks display in 1970 at the Medical School of the University of the Witwatersrand.

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